Disco cult: intervista doppia a Maurizio Monti (Echoes) e Micaela Zanni (Kinki)

Ci sono locali che hanno innegabilmente fatto la storia delle discoteche in Italia, riuscendo a distinguersi per decenni nel panorama della club culture. Più che di disco, infatti, dobbiamo parlare di veri e propri club e luoghi d’avanguardia: in Riviera Romagnola, a Misano Adriatico, regnava l’Echoes sotto la direzione artistica di Maurizio Monti, mentre in città, a Bologna, le serate più trendy erano senza dubbio quelle del Kinki di Micaela Zanni. Andare a ballare in questi club era qualcosa di magico: un meraviglioso mix tra qualità della musica, tendenza, moda, performance e trasgressione. Un cocktail d’esperienze indimenticabili per tutti coloro che le hanno vissute e che incuriosiscono tuttora anche chi non ne ha fatto parte.

Dalla fascinazione del docufilm Disco Ruin, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2020 e prossimamente in onda su Sky Arte, è cresciuta la nostra voglia di riaprire le porte di questi club di cui ora, purtroppo, restano solo le rovine. Abbiamo contattato Maurizio Monti, storico direttore artistico dell’Echoes, e Micaela Zanni, owner del Kinki.

Tre parole per descrivere quello che è stato l’Echoes / il Kinki.

Maurizio Monti (Echoes): Magia, esperienza di vita, un sogno.

Micaela Zanni (Kinki): Speciale, non per tutti, divertimento.

Ballare in riviera o in città, nella golden age delle disco qual era la differenza?

Maurizio: La Riviera è sempre stata un posto strutturato per accogliere i turisti, anche per questo di discoteche ce n’erano davvero tante. Tutta questa concorrenza portava i locali a voler sempre migliorare il proprio prodotto, anche se non ci reputavamo nemici, ma anzi colleghi. Chiaramente il venire a ballare in Riviera è sempre stato caratterizzato da uno spirito diverso, era un po’ come andare in vacanza. D’estate persone da tutta Europa venivano a lavorare in disco e si facevano l’intera stagione, mentre chi era costretto in città evadeva con una trasferta serale. D’inverno le realtà dove andare a ballare erano sicuramente interessanti anche in città, ma restava per molti la voglia di staccare dalla routine lavorativa e farsi una trasferta.

Micaela: Bisogna dire che Bologna negli anni '80 fino ai primi 90's era il place to be, la città di riferimento. La principale differenza tra ballare in Riviera o in città era dovuta al fatto che a Bologna c’era una dimensione più di nicchia (anche se c’erano molti nuovi movimenti e tendenze i numeri che facevano i locali erano tutti piuttosto contenuti), mentre in Riviera c’erano tanti posti che mediamente arrivavano a una capienza di 2000 persone l’uno. Quindi qui c’era la nicchia e in Riviera i locali dai grandi numeri.

Il tuo club era legato ai nomi di alcuni dj che ne hanno segnato la storia, che rapporto c’era coi dj resident?

Maurizio: Amici, eravamo un vero team. Quando facevamo le riunioni per la programmazione c’eravamo noi dello staff artistico, più i dj, il proprietario e a volte anche gli architetti. I dj potevano dire certamente la loro opinione anche sullo stile di ciò che facevamo e sulla tipologia delle feste. Ogni evento era curato nel minimo dettaglio, frutto del lavoro di un team intero: da input di arte figurativa e teatrale fino al design dell’arredamento. Il rapporto con i dj è sempre stato molto bello, poi io facevo il vocalist e quindi anche le trasferte le facevamo spesso assieme.

Micaela: Il dj resident nasce con le discoteche: ogni locale aveva il suo dj sempre presente alle serate e ai tempi questa era la normalità. Ha smesso di esserlo verso la fine degli anni '90, quando hanno iniziato ad essere commercializzati molto anche gli ospiti. In quel momento si è persa un po’ l’identità della discoteca. I dj resident erano parte della famiglia, una figura di riferimento fondamentale per il club, che poi si è persa.

Durante quegli anni l’ambiente disco era molto più stravagante rispetto ad ora, nel tuo locale c’era animazione o era il pubblico stesso l’animazione?

Maurizio: Era un tutt’uno. Chiaro che in quegli anni certi locali dettavano legge, quindi se volevi appartenere al “gregge” dell’Echoes dovevi essere stravagante, ma era da noi c’era una “selezione naturale” di persone che sperimentavano nuove mode. Tutti coloro che lavoravano all’Echoes erano grandi pr, i ballerini interagivano col pubblico e facevano salire gli amici, era una fusione. Il pubblico partecipava molto anche con la cura del look: se la festa dava un input sull’abbigliamento le persone arrivavano davvero vestite come i ballerini!

Micaela: Posso dire che al Kinki il fulcro dell’attenzione erano proprio le persone che partecipavano alle serate. Qualche volta c’era comunque dell’animazione, soprattutto per le feste a tema, ma normalmente era il pubblico il centro dei party. Erano tutti vestiti in maniera pazzesca! Quello spirito stravagante faceva parte del loro modo di essere, non era artificiale né fatto per farsi vedere. Era tutto davvero molto sentito e c’era una forte partecipazione da parte del pubblico.

Negli anni '80-'90 la dimensione del club era vista come una “famiglia”: le persone finivano per conoscersi tutte e si sentivano a casa in discoteca. Cosa resta ora di quella famiglia? Come hai visto evolversi l’ambiente discoteca nel corso degli anni?

Maurizio: Ai tempi di grandi discoteche con capienza da 4000 persone e oltre c’era solo la sala grande del Cocco. Più il locale è grande più si perde il concetto di familiarità, fatta eccezione per i privé. L’Echoes invece era proprio un club, con 800 persone era già pieno e si trattava di gente affezionata al posto. Lo spirito era quello di venire all’Echoes per ritrovarsi, ci si dava appuntamento per la settimana successiva. Il locale era fatto di spazi piccoli che si congiungevano, più gente veniva e più si aprivano i settori: ognuno sceglieva il suo posto e c’era gente che non si spostava da quell’angolo per tutto l’anno! Oggi è diverso, se guardiamo anche a Ibiza sono i privé che creano la familiarità e l’unione. Se adesso dovessi aprire un locale sceglierei un posto con capienza massima di 1000 persone o ancora meno.

Micaela: L’ambiente discoteca attuale non è più paragonabile a quello di allora. Ai tempi c’erano molte meno persone che facevano questo lavoro, i pr non erano così inflazionati e si trattava di personaggi con un grosso spessore (infatti dei grandi pr dell’epoca ci si ricorda ancora oggi). Poi negli anni '90 c’è stato il boom delle discoteche e questo ha iniziato a essere un mondo inflazionato, a cui moltissimi si sono avvicinati pensando fosse una realtà facile. All’opposto, per fare questo mestiere ci vuole competenza, e così il mercato si è rovinato. Quello che rimane oggi di quegli anni chi non l’ha vissuto fa fatica a capirlo, perché era un mondo totalmente differente. Si faceva di tutto per offrire al pubblico serate di qualità.

Se oggi fossi alla direzione artistica in una discoteca, punteresti sulla dimensione local con dj resident o daresti più spazio ai dj superstar internazionali del momento?

Maurizio: Ai dj internazionali abbiamo dato spazio anche all’Echoes, tutti i più grandi sono passati da lì anche quando magari erano ancora emergenti. Noi per primi abbiamo avuto l’idea di chiamare dj stranieri, ma era per dare internazionalità al locale e anche alla Riviera. Però se dovessi aprire un locale adesso, anche per le attuali logiche economiche e sociali, prenderei dj italiani che sono anche producer. Penso a Massimino Lippoli, Uovo dei Pasta Boys, Ricky Montanari, Flavio Vecchi e tanti altri. Il concetto è che bisogna stare attenti ai tempi che corrono e in questo periodo di Covid sono comunque nate tante idee, questo è il lato positivo. Per esempio hanno preso il via situazioni per un pubblico un po’ più grande come le cene con spettacolo e intrattenimento, penso ad esempio alle serate di quest’estate alla Villa delle Rose che sono state davvero belle.

Micaela: Secondo me, anche quest’estate quando i locali hanno aperto per pochi mesi post-lockdown, si è fatto un grande sbaglio a puntare solo sui dj internazionali. Si è persa una grande occasione, perché quello era proprio il momento per riscoprire i dj italiani. Io personalmente farei sempre la scelta local. Abbiamo un sacco di dj bravissimi in Italia che andrebbero assolutamente valorizzati, e non parlo dei blasonati ma anche di quelli più giovani che oggi come oggi non riescono neanche a farsi conoscere perché non c’è spazio nel mercato. Ci vuole però molto coraggio, perché fare una scelta del genere in questo momento sarebbe da mosca bianca. Una volta le persone sceglievano in andare in un determinato locale perché era in linea coi propri gusti, anche se magari non c’era nessuno, mentre ora la gente non sceglie più e segue la massa. Si sceglie un posto perché tutti vanno lì, quindi puntare sulla dimensione local vorrebbe dire andare controcorrente.

Di cosa ti occupi ora?

Maurizio: Della mia igiene mentale! Perché in questo momento non posso far niente. Organizzavo eventi di moda e molto altro ma è tutto bloccato, quindi… In realtà ho dei progetti, diversi da quello che facevo un tempo, perché ora non si parla più di invecchiare ma di “evolvere”! La mia esigenza resta sempre quella di avere un contatto col pubblico e creare una situazione molto friendly. Dopo tanti anni di lavoro nel settore conosco molta gente e mi piacerebbe dar vita a un piccolo spazio personale dove tutte le persone che invito possano intercedere, una specie di luogo per talent scout. Quasi un hotel boutique, con esperienze culinarie, sfilate di moda, esposizioni di amici designer e tanto altro. Per scaramanzia non dico né il nome né la location, però è un progetto interessante che sarebbe dovuto partire già un anno fa e ha incuriosito anche tanti artisti con cui mi sono sentito. Ora aspetto che si risolva questa situazione di fermo.

Micaela: Adesso sto curando un progetto legato a quegli anni, di cui però non posso ancora parlare! Poi ho un’azienda che fa cose totalmente differenti da quello che è il mondo delle discoteche. Inoltre mi sto dedicando a mettere ordine: ho un archivio abbastanza grande di foto e tanto altro materiale degli anni del Kinki e mi sembra doveroso sistemarlo e tenerlo bene perché è molto bello, approfondito e probabilmente servirà. Ai tempi, oltre a non esserci i mezzi perché comprare i rullini e far sviluppare le foto aveva un costo non da poco, nessuno sentiva l’esigenza di fotografare qualunque cosa quindi c’è davvero poco materiale a riguardo. Fortunatamente io, invece, ne ho raccolto parecchio!

Raccontaci la cosa più bizzarra vista nella tua carriera.

Maurizio: Di cose bizzarre ne ho viste tante! Una volta un caro amico mi consigliò un look per una serata, formale ma molto chic: ero tutto vestito di nero, con questo abito di seta di YSL. Era estate, appena arrivato al locale ho iniziato ad avere un gran caldo e quindi ho chiamato il buttafuori e gli ho chiesto di tenermi la giacca, poi la cravatta, i pantaloni e anche la camicia finché non sono rimasto in mutande. Poi ho pensato: “ma perché non posso stare nudo nel mio locale?”, e mi son tolto anche quelle. Sono stato tutta la sera nudo con una mano davanti ai genitali! Questa cosa poi ha preso piede e mi imitavano anche in pista. Un’altra volta venne un caro amico che era un talent scout e portò all’Echoes questo personaggio di Londra presentandomelo come “il nuovo genio della moda”. Questa persona arrivò da me chiedendomi di procurargli delle sostanze. Io gli risposi che non potevo aiutarlo, ma lui continuò ad insistere e allora io mi arrabbiai dicendogli che ero il direttore artistico del locale e non un pusher. Lui ci rimase male e dispiaciuto andò a casa: prese una t-shirt, la spalmò di vernice, ci scrisse le sue iniziali e la confezionò asciugandola. Me la portò in lacrime alla chiusura della serata dicendomi “I’m sorry, I did this for you”. Diventò poi uno stilista famosissimo davvero, ma non sveliamo qui il nome!

Micaela: La più bizzarra in assoluto direi che è questa. C’era questo ragazzo inglese che era venuto al Kinki con un gruppo di amici, tutti molto sopra le righe ma davvero fantastici, vestiti benissimo. Solo che questo personaggio aveva dei chaps di pelle color oro, quelli da cowboy con le frange di lato, però senza i pantaloni sotto, aveva solo il perizoma. A un certo punto durante la serata il dj (Luca Trevisi) arrivò alla cassa dicendo “scusate, io ho visto di tutto, però è normale che ci sia uno che gira con una Beck’s piantata nel ****?”. Il buttafuori andò a fargliela togliere ma questo continuò a rimettersela per svariate volte! Poi ce ne sono state tante altre di storie pazzesche. Abbiamo avuto il serial killer del water: per un mese e mezzo, ogni settimana, c’è stata questa persona che puntualmente spaccava il wc, finché non l’abbiamo preso. Una volta addirittura qualcuno si è rubato l’intero water senza che nessuno se ne accorgesse, non c’era più nemmeno un pezzo. Incredibile. Poi, a inizio anni 2000, da noi venne David LaChapelle a far serata e a Bologna si sparse la voce. Uno venne da me e mi disse: “Oh, ma se questo è un fotografo perché non fa le foto?”. In quel preciso momento ho capito che era davvero finita!

L’idea o il progetto realizzato di cui vai più fiero.

Maurizio: Sicuramente il progetto di cui vado più fiero è tutto ciò che è stato l’Echoes, per l’appunto. Tutte le idee di cui è stato la culla, l’energia che mi ha tirato fuori. Mi spronava! Non è stato solo un lavoro ma il mio modo di essere e di vivere. Quando tornavo a casa pensavo già a cosa dover fare per le serate successive, dai contatti con gli artisti agli allestimenti, e ne ero super entusiasta.

Micaela: Ci sono un po’ di cose di cui vado particolarmente fiera. Innanzitutto nel 1988, quando io sono entrata nella gestione del Kinki, ho voluto fare diverse inaugurazioni di stagione: una per ogni tipologia di serata invece che una sola festa d’apertura. Il Kinki ai tempi aveva serate differenziate, c’erano i giorni dei party più commerciali a cui partecipavano persone più “normali” come me, e altre serate dal mood molto più trendy e stravagante. Ho sentito l’esigenza di non fare solo l’inaugurazione del sabato (giorno del party che è poi passato alla storia), ma di estendere l’opening anche alle persone più “normali” che frequentavano le altre serate. Poi sono orgogliosa di aver portato per la prima volta l’aperitivo in discoteca, nel 2004 con il party After Work, e di aver dato il “la” ai vari remember festeggiando il quarantennale del Kinki. Inoltre il mio locale è stato citato in otto romanzi di importanti autori, da Pier Vittorio Tondelli a Enrico Brizzi.

Le stesse cose che abbiamo chiesto a te le abbiamo chieste a Maurizio Monti / Micaela Zanni. Il ricordo più bello che hai del Kinki/Echoes?

Il Kinki per Maurizio: Il Kinki lo frequentavo quando ero un ragazzino, prima durante le superiori e poi negli anni del Dams a Bologna. Era un locale con serate gay e io fuggivo da Bertinoro per andare a quei party. È stato un periodo bellissimo. Poi crescendo sono stato chiamato dalle Pettegoliere (poi diventate anche pr dell’Echoes) a fare una performance come Drugo Chic, feci questa parodia di Arancia Meccanica come ballerino e anche questo è un ricordo meraviglioso. Il Kinki è stato sicuramente un locale di grande tendenza.

L'Echoes per Micaela: Devo fare una premessa, io sono un po’ come il calzolaio che va scalzo perché non ho mai frequentato tanto i locali. All’Echoes però mi sono sempre divertita, quando andavo lì mi godevo la serata e mi sentivo sollevata dalla responsabilità della gestione che invece nel mio locale mi portavo sempre dietro! Mi sentivo a casa, ma senza lo stress di dover controllare tutto. Ho tanti ricordi, ma non saprei sceglierne uno in particolare. Mauri è sempre stato fantastico e carinissimo, così come tutti i ragazzi dell’Echoes!

Ecco i dietro le quinte di due locali favolosi, diversi da ogni standard, che hanno fatto la storia del costume tra buona musica, tanta moda e divertimento assicurato nell'epoca d'oro delle disco.